Perché il No Ponte non diventi il movimento dei ricchi contro i poveri


di Antonello Mangano e Luigi Sturniolo

Stanno trivellando
entrambe le sponde dello Stretto. Una barca va su e giù per il
monitoraggio ambientale, il cui costo totale ammonta a 29 milioni di
euro. Da dicembre hanno deciso di spostare un binario nei pressi di
Cannitello, sponda calabrese: descriverà una curva anziché una retta. Ai
contribuenti costerà 30 milioni di euro. Le trivelle dovranno fornire
informazioni ulteriori alla progettazione finale, un processo
pluridecennale che è già costato un mare di denaro pubblico.

La
situazione – in tempo di tagli ai servizi essenziali – è molto grave.
Non si tratta né di un bluff né di un atto di propaganda elettorale ma
di un sistema che prevede il trasferimento dei soldi della collettività a
pochi soggetti privati, che poi ridistribuiscono le briciole ai più
poveri, spesso collegati in maniera clientelare ai grandi decisori.

In
una situazione “normale”, è facile etichettare questo meccanismo come
spreco e disprezzare chi si vende per poco. In un tempo ordinario è
possibile evidenziare che i posti di lavoro creati saranno pochi e
temporanei. Ma nei giorni della crisi, anche pochi posti di lavoro
saranno una manna dal cielo. Anche un incarico temporaneo significa
andare avanti per qualche settimana. Gli stessi accordi con le
università vogliono lanciare un chiaro messaggio: non saranno coinvolti
solo carpentieri e ingegneri, ma anche tanti “disoccupati
intellettuali”. Non capire città allo stremo – come quelle dello Stretto
– e pronte a emigrare in massa, specie nei settori popolari,
significherebbe in breve tempo trasformare il movimento in un circolo di
benestanti sensibili assediati da folle di bisognosi.

Ambientalismo
e tecnicismo
Il movimento No Ponte ha avuto fin dall’inizio una
forte componente ambientalista, già da tempo collegata ad altre
sensibilità più marcatamente sociali. Bisogna, pero`, riflettere su cosa
è diventato certo ambientalismo. I dirigenti di Anas e “Stretto di
Messina” non odiano le tematiche “verdi”. Hanno capito che la cura del
paesaggio può essere una ulteriore voce di spesa (tra l’altro è molto
più facile studiare i cetacei che mettere in piedi i piloni sul mare)
molto consistente. Può essere il modo per introdurre ulteriori opere
compensative che coprano il disastro e distribuiscano ulteriore denaro,
anche attraverso studi, sopralluoghi, rapporti. Si tratta di un
meccanismo ormai sperimentato per tante opere infrastrutturali.

Tutto
il processo sarà molto lento e terribilmente inefficiente. Dal progetto
ai lavori preliminari fino alle fasi successive. Come è avvenuto anche
in passato. La lentezza servira` anche a rafforzare il classico luogo
comune (“tanto non lo faranno mai”) che indebolisce il movimento contro
il mostro sullo Stretto. Nessuno avrà fretta, né i ricchi e ovviamente
nemmeno i poveri, perché i posti di lavoro temporanei potranno essere
più duraturi grazie a un meccanismo che non funziona bene. Per questo
sarà poco utile rinfacciare lentezze ed errori che sono connaturati al
sistema. Più il processo sarà lungo, più guadagneranno i politici, il
general contractor e tutti gli altri. Persino le azioni di disturbo,
quelle che potranno rallentare l’iter, come i ricorsi, non saranno visti
come problemi. Discorso diverso – invece – per tutto quello che potrà
bloccare il processo.

Le quattro proposte
La manifestazione
nazionale No Ponte del 19 dicembre, tenuta a Villa San Giovanni, aveva
spostato l’attenzione dall’opposizione alla proposta. Al no alla
mega-infrastruttura seguivano quattro idee: la bonifica dei territori
inquinati (con particolare riferimento alla vicenda calabrese delle navi
dei veleni), la messa in sicurezza del territorio (era ancora nelle
menti di tutti il dramma di Giampilieri), un sistema di trasporti
efficiente nello Stretto (la smobilitazione del servizio pubblico
prosegue inesorabile), infine un sì alle infrastrutture utili e
necessarie. Un nuovo welfare, in altre parole, una politica che
ridistribuisca reddito, possa affrontare la crisi, rompa i legami di
sudditanza, sia attenta a un territorio fragile. Queste idee, però, per
diventare concrete e tradursi in un percorso credibile hanno bisogno di
un movimento straordinariamente forte e ampio e di soggetti politici,
sindacali, sociali, associativi che abbiano il coraggio di accoglierle.

Proprio
sul palco della manifestazione del 19 dicembre moriva di infarto Franco
Nisticò, alle 14. L’unica ambulanza presente era andata via un’ora
prima (“pensavamo che non ci fosse più bisogno di noi”, dirà un surreale
comunicato dell’ASL, dimenticando che solo in serata era prevista la
conclusione del concerto poi cancellato dal dolore). Un evento
fortemente simbolico (grande spiegamento di apparati repressivi ma
l’assenza di un servizio essenziale), anche perché Nisticò aveva speso
la sua vita per vedere completata la 106, una “piccola opera” che
dovrebbe collegare Reggio a Taranto e che invece da sempre è nota come
la “strada della morte”, grazie alla collaborazione funesta tra imprese
mafiose e grandi ditte nazionali (alcune delle quali impegnate nella
costruzione del Ponte).

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