Ddl GELMINI: UN PERCORSO FALLIMENTARE VERSO LA PRIVATIZZAZIONE



 

L’unica lettura che
come studenti riusciamo a cogliere dal DdL datato 28 ottobre 2009 è quella
della continuazione dell’opera di privatizzazione
dell’Università
pubblica e libera.

È oramai palese
l’intenzione del Governo di trasformare il diritto allo studio in
servizio che in quanto tale potrà essere gestito dai privati, i quali in
perfetto stile manageriale tenderanno ad utilizzare lo strumento della cultura
a proprio vantaggio.

La cultura divenuta prodotto aziendale. Gli studenti che
ruolo avranno in questa grande impresa? Fruitori di un servizio e titolari di
un diritto?

Il ddl presenta sin
dai principi ispiratori questa grande contraddizione,
citando l’art.33 Cost. che identifica il diritto allo studio per poi vanificarlo
di fatto nel contenuto
della riforma palesando la volontà di spingere il
sapere nelle mani di fondazioni private.

Così facendo il Governo dimostra la volontà di disfarsi di un settore
chiave per lo Stato, non più considerato come strategico, ma come un peso.

Nonostante le
dichiarazioni del Ministro sull’ipotetica aggressione ai centri di potere e
alle baronie all’interno dell’Università il DdL in realtà pone ben altre prospettive.

La riforma rafforza
il sistema delle autonomie, che è la vera causa dell’accentramento di potere,
in quanto viene delegittimato di fatto il Senato Accademico
declassandolo ad organo consultivo con nessun potere decisionale, al contrario Rettore
e Consiglio di Amministrazione assumono un ruolo centrale
, esclusivo, insindacabile.

Questo vuol dire che
la gestione economica e didattica sarà saldamente concentrata nelle mani
di questi due organi, dei quali il C.d.A dovrà essere formato da una quota non inferiore al 40% di membri
esterni
:

la gestione della
didattica è posta di fatto sotto il controllo di logiche imprenditoriali del
tutto estranee al mondo della cultura.

Inoltre in nome di
questa vituperata trasparenza il ddl prevede che i criteri di nomina del Rettore e dei membri esterni del C.d.A
vengano stabiliti dal regolamento del singolo
Ateneo
. Chi spiegherà ai baroni
che dovrebbero defenestrarsi da soli?

Appare evidente che
il fine della riforma non è quello proposto dall’art. 1 del presente
disegno di legge, che recita “Le università sono sede di libera formazione e strumento
per la circolazione dei saperi; operano, combinando in modo organico ricerca e
didattica, per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica
”.

In realtà non si
tratta della riforma definitiva di cui tanto si parla, ma solo di un obbligato
passaggio verso la privatizzazione dell’alta formazione
.

Nello specifico delle realtà meridionali gli effetti negativi verranno ad essere maggiormente
amplificati nel momento in cui si porrà la necessità di individuare i privati che potranno sostenere una fondazione, che
purtroppo sono facilmente individuabili in quei soggetti che già si pongono
come colonizzatori della nostra terra senza portare un reale sviluppo
economico, culturale, sociale.

Questa appena
illustrata non appare un’ipotesi remota in quanto è già previsto il commissariamento degli Atenei in rosso,
secondo criteri rigidamente vincolati al bilancio
: il virtuosismo non
viene individuato nella qualità
dell’offerta didattica, ma nella capacità
di far quadrare i conti
.

L’unica via
d’uscita
,quindi,
lasciata agli Atenei, rimane il costituirsi in fondazioni di diritto privato.
Questa operazione porterà l’allontanamento dal processo di istruzione
superiore di tutti quei soggetti deboli
che non potranno sostenere l’aumento dei costi (tasse in primis,
e già se n’è avuto un assaggio)
naturalmente legati alla privatizzazione.

Anche l’assegnazione delle borse di studio si
allontana dai criteri di uguaglianza
sostanziale sancita dalla
Costituzione ( art. 3 e 33 Cost.), abbracciando una logica che segue principi
di discrezionalità esclusivi dei
bisogni reali della popolazione studentesca.

Il Governo vuole un’Università di classe che escluda tutti i soggetti
deboli
che possano così
essere sfruttati dalle imprese come manodopera a basso costo.

A questa logica
non potranno sfuggire neanche coloro che comunque accederanno alle università,
poiché finiranno in balia di logiche da SpA, che mirano ad una convenienza
economica e aziendale, e non culturale e sociale.

Da studenti del Sud chiediamo un’Università Statale e Pubblica, dove lo
studio e la cultura ritrovino il loro ruolo naturale e rispondano alle reali
esigenza di studenti e territorio.

NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO!

 

Collettivo UniRc

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  1. #1 di collettivounirc.noblogs.org il 12 Ottobre 2010 - 10:09

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