La marlane dei veleni: Intervista in esclusiva ad un operaio sopravvissuto


 
Un’intervista ad un "sopravvissuto" all’assurda corsa al profitto, fatta sempre e solo sulla pelle della gente, da chi non si fa scrupoli ad avvelenare persone ed ambiente.
 
 
Pubblicato da Francesco Cirillo su:
 

Articolo e immagini 

Dopo la Jolly Rosso ed i veleni sotterrati nella valle del fiume
Oliva e la nave Cunsky , si apre un altro fascicolo di morte del
tirreno cosentino. Quello sulla fabbrica Marlane di Praia a Mare . la
Procura di Paola ha chiuso le indagini ed ha ipotizzato l’omicidio
colposo a danno di 40 operai della stessa fabbrica. Fu il sottoscritto
che per la prima volta proprio dalle pagine del Domani nel 1999 aprì il
caso. Un velo di silenzio aveva accompagnato per anni questi operai
morti tragicamente fra atroci sofferenze per i veleni che respiravano
ogni giorno. Un silenzio tenuto anche da tutti i politici, dai
sindacati ufficiali, dai vari sindaci succedutisi negli anni e che
hanno sempre cavalcato elettoralmente la manovalanza operaia. Un
silenzio rotto oltre dieci anni fa da un gruppetto di operai aderenti
allo SLAI-Cobas. Fra questi , Luigi Pacchiano , un operaio colpito dal
tumore ma vivo per miracolo, vivo per raccontare quello che ha vissuto
e che ora riportiamo in questa intervista esclusiva.
Sono Luigi Pacchiano nativo di Maratea residente a Praia a mare. Vi
voglio illustrare la mia vita lavorativa. Nel 1959 sono stato assunto
al Lanificio di Maratea. Ho lavorato in questa fabbrica fino al 1963.
Dal 1959 al 1963 le misure di sicurezza all’interno delle fabbriche non
si conoscevano proprio però Maratea aveva solo la tessitura e
l’incollaggio e non aveva altri tipi di lavorazione nocive. Dal 1963 al
1966 sono uscito per motivi personali dalla fabbrica. Nel 1966 sono
rientrato e nel 1969 fummo trasferiti a Praia a mare. In una fabbrica
che si chiamava Marlane. Qui c’era la filatura, la tintoria , il fine
saggio. Quando siamo arrivati noi la fabbrica è stata cambiata
totalmente. Arrivando noi hanno smantellato tutti i muri divisori che
prima dividevano i vari reparti e tra questi la tintoria che nella metà
degli anni 60 era divisa dagli altri reparti. E così la Marlane di
Praia a Mare diventò un unico ambiente. La tessitura e l’orditura che
arrivarono dalla fabbrica di Maratea vennero inserite fra la filatura e
la tintoria e il fine saggio senza alcuna divisione. In questa
situazione vi ho lavorato fino all’11 novembre del 1995. per questioni
di salute sono dovuto uscire dalla fabbrica.
Che tipo di lavoro facevi ?
Facevo l’orditore . cioè quelli che preparano l’ordito per la tessitura
( l’ordito è l’insieme dei fili che tesi longitudinalmente sul telaio
sono destinati a incrociarsi con la trama per formare il tessuto – nota
dell’intervistatore-.) . E lavoravo a due tre metri di distanza dalle
macchine della tintoria. Senza , come dicevo prima senza misura di
prevenzione né di protezione.
Quanti eravate gli operai che lavoravate in questa sezione ?
Il reparto orditura era costituito da quattro macchine poste al centro
tra la filatura e la tessitura. Nel complesso gli operai eravamo un
500.
Tu hai lavorato sempre nella sezione dell’orditura ?
No. Nel 1972 per questioni di orari di lavoro fui trasferito al reparto
finissaggio umido e vi rimasi fino al 1983 , poi quando ci furono i
primi cassa integrati dovetti ritornare di nuovo all’orditura. Nel
periodo di fine saggio in base ai criteri dei dirigenti chi lavorava a
certe macchine dove si usavano prodotti nocivi veniva consegnata loro
la famosa busta di latte per disintossicarci, dicevano loro.
Ma in una situazione come questa, mi chiedo, non venivano in fabbrica ispettori ?
Io in tutti questi anni non ho mai visto un’ispezione sanitaria. Io
all’orditura ero in un punto strategico della visibilità dell’intera
fabbrica e non ho mai visto entrare nessuno. Né abbiamo mai avuto
visite personali sanitarie. In tutta la mia attività lavorativa ho
avuto solo due schermografie . Una volta a Maratea e l’altra a Praia
poi mai più. Non mi risulta neanche che ci fossero medici aziendali. E
chi era addetto all’infermeria non era altro che un infermiere. Ci
avevano fatto credere per anni che questo infermiere fosse un dottore.
La prima volta che ho visto un medico aziendale è stato agli inizi
degli anni 90 .
Niente controlli quindi nessuna precauzione per i prodotti nocivi che usavate. Come vivevate in questa fabbrica ?
Si, lavoravamo senza alcuna misura di prevenzione, senza controllo
medico, ci davano questo latte in base ai criteri dei dirigenti e dei
caporeparto, a chi si a chi no. Non c’erano aspiratori né in alto né in
basso, i cosiddetti aspiratori a terra, che esistevano ma che non hanno
mai funzionato. D’estate si lavorava a 40 grandi di caloria ed a 80
gradi umidità, era una cosa impossibile lavorare e spesso abbiamo fatto
dei piccoli scioperi uscendo dalla fabbrica, ma subito dopo eravamo
costretti a rientrare pena il licenziamento. Parecchie giornate .
all’interno della fabbrica ,erano contraddistinte da un grande
quantitativo di polvere e fumo. Tanto che noi dicevamo entrando “ oggi
nebbia in Val Padana “. I vapori provenienti dalla sezione tintoria
coprivano tutto il reparto e non si vedeva niente. Il cattivo odore era
terribile, anche perché per coprire la puzza venivano usate le amine
aromatiche . Ci facevano credere che le puzze provenivano dall’esterno
o che erano conseguenza non legata ai prodotti usati. Difatti quando
arrivavano i fusti con i coloranti toglievano le etichette dai fusti
dove c’era il teschio di morte con scritto i prodotti contenuti nel
fusto. Venivano tolti subito, E i capireparto ci dicevano di prendere i
fusti a secondo dei colori esterni. E si andava avanti così. La
tintoria era composta da tinto pezza e tinto top. La Marlane lavorava
molto per lo Stato e produceva divise militari. Le vasche che tingevano
le pezze erano aperte e venivano alimentate con i coloranti che vi si
scaricavano direttamente . Una lavorazione a mano. Loro sostenevano che
i vapori provenienti da queste vasche venivano aspirati da cappe poste
su di esse. Ma da una brochure stessa diffusa dalla Marlane si poteva
notare che queste cappe non erano mai esistite. Loro non tenevano le
vasche chiuse per fare raffreddare subito la lana. Quindi l’acqua
ribolliva all’aperto e questo creava i vapori che si disperdevano per
tutta la fabbrica coinvolgendo tutti gli operi.
Si è i sentito parlare anche di uso di amianto.
L’azienda dice che non è mai stato usato. Non è vero . I 108 telai
esistenti nella fabbrica avevano i freni che funzionavano ad amianto. E
questi freni si consumavano abbastanza spesso e velocemente. Quando dai
freni usciva la polverina ad amianto per eliminarla dagli ingranaggi ci
si soffiava con una pistola ad aria compressa e tutto andava in aria .
E quindi tutti respiravamo queste polveri .
Quando sono cominciati i primi casi di decesso fra gli operai ?
I primi casi sono avvenuti nel 1973. Operai di trent’anni addetti ad
una macchina che bruciava i fili usando degli acidi. I due operai
addetti a questa macchina sono morti entrambi, e per quello che abbiamo
saputo il motivo era per questi acidi. Da lì in poi di decessi ne sono
avvenuti in continuazione . Chi per tumore chi per altro. E quando
qualcuno protestava si diceva di stare zitti e di farsi gli affari
propri pena il licenziamento. Secondo una mia idea, una sessantina per
quello che ricordo ma ci sono operai che hanno lavorato in fabbrica e
che nessuno conosceva. Non tutti eravamo di Praia e di Maratea. Molti
operai provenivano dai paesi del circondario. E quando sparivano e
nessuno li vedeva più, nessuno poteva avere informazione se era morto o
se era stato licenziato, o se aveva trovato un altro lavoro. Io avevo
chiesto più volte di fare un monitoraggio su tutti quelli che avevano
lavorato nella fabbrica per sapere che fine avessero fatto, chi è morto
e come è morto. Un lavoro che volendo ancora oggi si potrebbe fare e
che spero si faccia al più presto.
Uno degli ultimi decessi fu quello di Teresa Maimone di Maratea. Cosa ricordi di lei ?
Mi viene la pelle d’oca a pensare a questa giovane operaia. Questa
signora lavorava alla rocchettiera . I prodotti sintetici venivano
tinti prima delle vasche e poi veniva passato sulla rocchettiera. E
questa signora lavorava qui. E qui la polvere era notevole, perché
sfilando il filo ad alta velocità si mandava nell’aria sia il colorante
che polvere. E lei si lamentava che ogni volta che faceva questo lavora
tutto il suo corpo si faceva rosso di sfoghi. Lei andava dal medico e
questo le diceva che era una questione alimentare. La cosa è andata
avanti per molto tempo finché un giorno mi ricordo che si sentì male in
fabbrica e stava per svenire. Non si reggeva in piedi e fui proprio io
ad accompagnarla dal medico. Il quale ripeté la solita storia della
cattiva alimentazione. Io poi venni a sapere che, dopo che io non
lavoravo più in fabbrica si sentì di nuovo male e fu accompagnata
d’urgenza all’ ospedale di Napoli . E dopo cinque giorni morì. Ricordo
un altro operaio addetto alle pulizie che morì per tumore ai polmoni.
Ne ricordo un altro addetto alle pulizie dei tubi anch’egli stroncato
da un tumore. Lo stesso prete di Maratea, Don Vincenzo Iacovino, che
officiava tutti questi funerali di operai in una sua omelia si scagliò
contro l’azienda dicendo questa non è una fabbrica di lavoro ma di
morte. E questa storia il parroco la dichiarò anche nello spettacolo
delle Iene.
Ed un certo giorno anche tu hai cominciato a sentire dolori.
E venne il mio turno. Era il 1993 e sfortunatamente anch’io mi sentii
male. Sono andato subito in ospedale per accertamenti. Qualche mese
prima, della crisi forte, sentivo dei fastidi. Andavo sempre al bagno.
Ho pensato subito alle conseguenze della polvere che respiravamo.
Quando tornavamo a casa anche due ore dopo soffiandoci il naso veniva
fuori il nero della polvere. E quando si sputava ,si sputava nero. A
casa arrivavamo che puzzavamo e bisognava fare continue docce per far
sparire il cattivo odore. La mattina del 14 dicembre del 1993 , dunque,
mi ricovero in ospedale. Il 15 dicembre scoprono che avevo un carcinoma
alla vescica .Sono stato immediatamente operato per l’asportazione di
tale carcinoma. Da qui inizia il mio calvario. Continue visite mediche,
ricoveri ospedalieri, accertamenti, operazioni. Ritornando in fabbrica
sono stato anche deriso dalla dirigenza, che mi dissero che tanto uno
in più uno in meno, ne erano morti tanti, e non avrebbero fatto alcuna
differenza. Pregai di spostarmi in un altro reparto. Non ce la facevo a
stare in piedi e spesso dovevano darmi il permesso per uscire prima. In
questa occasione conobbi il medico aziendale che mi disse di essere
entrato in fabbrica solo da due anni. Mi chiese se io avevo bisogno di
una visita per l’udito. Io gli spiegavo che avevo bisogna di ben altro.
E lui mi disse di andare in fabbrica presso il suo studio con le
cartelle cliniche dell’operazione subita che lui avrebbe provveduto ad
una visita ufficiale come medico aziendale. E con le cartelle mi reco
nel suo studio aziendale. Mi fa sedere. E con un martelletto mi batte
sul ginocchio. I riflessi sono buoni quindi stai bene, mi dice. Io
allora subito , alzando un po’ la voce, gli spiego che i miei problemi
sono di ben altra natura. Ed il medico mi sgrida dicendo che io non
capivo niente di medicina. E la visita finisce lì. L’unica cosa che
riesco a tirare fuori dalla visita medica è lo spostamento in un altro
settore della fabbrica.
Quando uscisti dalla fabbrica ?
Dall’estate 94 fino a novembre del 95 sono dovuto sottostare alle
decisioni dell’azienda che mi obbligò a continuare a lavorare vicino
alla tintoria. Perché poi nessuno mi volle spostare. In seguito avendo
avuto una ricaduta fisica nel 95 mi sono dovuto dimettere dal lavoro e
andarmene. Le dimissioni le feci con una lettera all’azienda dove
spiegai che nonostante le mie continue richieste non ero stato spostato
ad un reparto più consono alla mia malattia. Pochi giorni prima delle
mie dimissioni un dirigente dell’azienda mi aggredì verbalmente dicendo
come mi ero permesso a scrivere quelle cose, e mi invitava a
rimangiarmi tutto. Ho una causa in corso per delle frasi che ho
riferito all’antimafia di Catanzaro per delle velate minacce ricevute
nelle quali mi si ripeteva che tutto ciò che io facevo era
completamente inutile in quanto avevano soldi per pagare chiunque. L’11
novembre del 1995 esco quindi dall’azienda per motivi di salute.
La fabbrica intanto ha cominciato a smantellare i reparti che conosceva come nocivi.
La fabbrica ha smantellato e rottamato la tintoria tops , dove
tingevano la lana , nell’aprile maggio 1996. Invece la tintoria pezze
nel 1990-91 venne rifatta nuova . Nel senso che arrivarono le vasche a
chiusura. Tutt’ora nella Marlane la tintoria ancora esiste, ma è tutto
recintato e chiusa. Poi è cambiato anche il sistema di lavorazione,
perché una volta si lavorava il terital , il poliestere, cotone seta
adesso fanno solo un po’ di lana. Invece la filatura che hanno
installato adesso, che è entrata anch’essa in crisi, fa maglieria. E
anche adesso so di operai che si lamentano per la polvere che si alza
durante la lavorazione.
Fino ad oggi potremmo fare un calcolo su quanto potrebbero essere state le morti alla Marlane ?
Io mi ero fermato ad una sessantina. Ma ogni tanto incontro operai che
mi raccontano di nuovi decessi. Ad occhi e croce potremmo essere tra i
90 ed i 120 morti. Se si facesse un monitoraggio si potrebbe stabilire
tutto. La stessa azienda qualche tempo fa in un comunicato uscito su un
quotidiano regionale dichiarò che nella fabbrica hanno lavorato 1050
persone e che i decessi per tumore sono stati 50. Questo numero secondo
l’azienda rientra nella casistica normale delle morti di tumore .
Chiaramente provenienti tutti dall’esterno. Ma l’Inail stessa un anno
prima che io uscissi dalla fabbrica mi aveva riconosciuto la malattia
professionale . E il riconoscimento l’ho avuto perchè gli ispettori
dell’Inail quando vennero in fabbrica trovarono esattamente tutto
quanto io gli avevo raccontato. Ecco perchè ho avuto il riconoscimento.
Quando io me ne andai dissi all’azienda che avrei chiesto loro i danni.
L’azienda mi rispose che problemi loro non ne avevano in quanto avevano
tanti soldi per pagare chicchessia. E questo dialogo con questo
dirigente dell’azienda io lo denunciai insieme ad altri operai
all’antimafia di Catanzaro facendo il nome di questa persona. Che le
cose non andavano per il verso giusto in quella fabbrica si vedeva
anche dalle schede sui materiali che si usavano che l’azienda , su
richiesta nostra, non consegnava mai identiche. Una volta avevano dei
numeri altre erano diversi. E questo fatto ci venne confermato da una
segretaria andata in pensione.
Ma i sindacati ufficiali cosa facevano ? Come mai non intervenivano su una situazione così grave ? Così i partiti di sinistra.
I sindacati , così come i partiti non sono mai intervenuti. Parlavano
con noi ma senza concludere nulla. Molti sindacalisti , ed i partiti ad
essi collegati, erano compromessi con l’azienda perché avevano delle
fabbrichette dove ricevevano l’indotto della stessa azienda. L’unico
sindacato che ci ha aiutato è stato lo Slai Cobas con l’on.Mara
Malavenda
Ora sappiamo che la Procura di Paola ha chiuso le indagini.
Sono felice di questa notizia e spero di arrivare quanto prima al
dibattimento. Mi rendo conto che le indagini sono state difficili
perchè nell’azienda non c’è più nulla . Non ci sono documenti, non ci
sono schede, non ci sono le famose vasche, non esistono neanche le
planimetrie originali. Bisogna quindi stare molto attenti. Io mi auguro
che non per questioni finanziarie, ma per una questione di giustizia,
questa venga data ai tanti operai che sono morti giovanissimi .

sul DOMANI del 1 ottobre 2009

I commenti sono stati disattivati.