LA FORMAZIONE DI UNO STATO


Gli avvenimenti che nei giorni scorsi hanno visto una parte del nostro
Paese protagonista di una pagina che non avremmo mai voluto fosse
scritta nella nostra storia e che hanno riempito giornali e notiziari,
alimentando spesso la disinformazione e dando adito a speculazioni
ideologiche, meritano anche un’analisi dal punto di vista culturale e
della formazione.
La situazione venutasi a creare a Rosarno è stata
definita emergenziale pur non avendone i connotati di contingenza né di
imprevedibilità. Gli immigrati erano sfruttati e vessati da tempo sotto
gli occhi di tutti, con il tacito consenso delle autorità ed il
benestare delle cosche locali. La reazione dei “neri”, visti i
precedenti dello scorso anno che li aveva già visti scendere in piazza
in maniera pacifica, era prevista e quanto mai prevedibile. Eppure solo
in pochi avevano lanciato l’allarme. Soltanto oggi tutti ne parlano, si
scandalizzano e l’indignazione dilaga.
Ma nel mare dell’ipocrisia
abbiamo intravisto un barlume di coerenza, prontamente travolto e
zittito dai “rondisti” di turno. Durante la manifestazione degli
abitanti di Rosarno dopo lo sgombero dei migranti, che tutto era
fuorché spontaneamente voluta dagli stessi, la genuina azione di
protesta di alcuni studenti del locale Liceo Scientifico non è passata
inosservata. “Speriamo di poter dire un giorno c’era una volta la
mafia” sono parole che nella piazza dei Bellocco non possono essere
pronunciate.
Il fatto che lo striscione “incriminato” fosse stato
esposto da alcuni studenti dimostra che lo stato ha ancora la
possibilità di riappropriarsi di quei territori oggi controllati dalle
mafie. L’arma è appunto l’istruzione ed i suoi presìdi, ovvero scuole
ed università. Nonostante questo, i Governi negli ultimi anni hanno
intrapreso un sistematico processo di smantellamento del diritto
all’istruzione pubblica, l’ultimo baluardo arginante il futuro
proliferare delle attività degli “amici degli amici”. Privatizzare
scuole ed università vuol dire abbandonare le piccole realtà
dell’entroterra del meridione e favorire il ripresentarsi di episodi
come quelli di Rosarno.
L’eliminazione della cultura in contesti di
grave dissesto sociale, favoriscono altresì l’attecchire di
quell’errata nozione di sviluppo che viene spesso propagandata come
l’unica soluzione per un progresso futuribile. Eliminare il sapere
pubblico significa eliminare il dissenso nei confronti di tutte quelle
operazioni speculative che mortificano il territorio e la sua
vivibilità nel tempo.
Contrariamente alla strada intrapresa, il cui
indirizzo mira alla disincentivazione degli investimenti di carattere
culturale, è necessario scommettere sull’accrescimento di una coscienza
critica come unica via di fuga dal perenne ricatto del lavoro imposto
dal liberismo. L’infame strumento della promessa del posto di lavoro è
il “cavallo di troia” attraverso il quale vengono propinate opere
aggressive ed inutili come: l’inceneritore e la centrale a turbogas
nella Piana di Gioia Tauro, il rigassificatore che dovrebbe prendere il
posto del Porto di Gioia Tauro, la centrale a carbone “pulito” di
Saline Joniche, il nugolo di centrali a biomassa a ridosso del Parco
Nazionale dell’Aspromonte, e, dulcis in fundo, l’opera magna per
eccellenza, il ponte sullo Stretto.
La fame di cultura è palese in
situazioni nelle quali il progresso viene proposto attraverso dinamiche
industriali avulse dalle reali vocazioni dei contesti territoriali che
ancora puntano ad un’agricoltura di sussistenza, supportata a suon di
incentivi e praticata attraverso il lavoro sommerso a mezzo di
manodopera migrante.
Rilanciamo quindi la necessità di una lettura
di fase che tenga conto delle inscindibili connessioni che la criminale
trasformazione del diritto allo studio in servizio privato comporta
nelle dinamiche di un futuro realmente sostenibile.

Collettivo UniRc

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