MA DI QUALE PONTE PARLANO?


 

Alberto Ziparo

[docente presso la Facoltà di
Architettura di Firenze, coordinatore delle ricerche universitarie sugli
impatti del progetto del Ponte sullo Stretto e dei comitati scientifici delle
associazioni ambientaliste (WWF,Legambiente,Italia nostra), estensori delle
“Osservazioni al SIA” del medesimo]

 

 

Il
governo ha confermato – stavolta ufficialmente – l’accantonamento del progetto
del Ponte sullo Stretto, specificando nella finanziaria che le “risorse residue
ad esso destinate verranno rifinalizzate in opere infrastrutturali e di difesa
del suolo, urgenti e prioritarie per la Sicilia e la Calabria”.

Lungi
dal sopirsi, come sarebbe logico, dibattiti e polemiche seguitano ad essere
vivaci, alimentate soprattutto dagli amici della lobby, che si spingono fino ad
annunciare un programma di realizzazione del progetto al di fuori dell’azione
dell’amministrazione centrale dello Stato. Come spesso avvenuto durante la
lunga storia del ponte,  siamo tornati
alle chiacchiere propagandistiche, visto che a meno di realizzare una megaopera
abusiva, simili intenzioni sono vietate dalla Costituzione e dalle norme della
Repubblica; evidentemente sono funzionali alla prosecuzione di sprechi e
speculazioni finanziarie e politiche, che peraltro hanno già molto colpito
intelligenza, pazienza e tasche di siciliani, calabresi, e ovviamente di tutti
gli italiani. I pontisti, per poter continuare ad urlare, sono costretti a
riportare indietro di una decina di anni i termini della discussione; infatti,
ignorano importantissimi studi e ricerche che hanno illuminato la vicenda di
fondamentali elementi chiarificatori e hanno portato su posizioni assai
critiche non solo politici di centro sinistra, ma, insieme al Ministro Bianchi
– che prima di essere un decisore è studioso e tecnico – gran parte della
comunità scientifica nazionale.

Nelle
prossime righe riportiamo una summa degli esiti di tali elaborazioni, per
sottolineare ulteriormente come le urla pro ponte oggi costituiscano, tra
l’altro, un rovesciamento dei reali contenuti della questione e quindi un
gravissimo inganno per i cittadini della Sicilia e della Calabria.

Un’
infrastruttura inutile anzi critica per il sistema dei trasporti: il ponte era
stato concepito per servire il traffico di lunga distanza da e per la Sicilia;
invece nello Stretto resterà in futuro sempre più una mobilità locale. Infatti
il trasporto di lunga distanza ha subito nelle ultime fasi fortissime
trasformazioni: gli spostamenti hanno abbandonato gomma e ferrovia, per  aerei ( i passeggeri) e navi (le merci). Gli
attraversamenti di lunga distanza tra Messina e Villa e viceversa erano
computabili in oltre undici milioni di unità nel 1985, sono calati a poco più
di sei milioni e mezzo nel 2002. Intanto la Sicilia è passata da due aeroporti
e tre piste a sei aeroporti e una dozzina di piste (traffico aereo +3200%
circa!) ed ha scoperto di avere una decina di porti industriali, utilizzati
poco o nulla per un’industria che, se c’era, se ne è andata, e stanno
assumendo, per adesso senza politiche di incentivo, sempre più la
configurazione di terminal commerciali. “Credevamo di studiare
un’infrastruttura , invece studiavamo un monumento” hanno commentato i migliori
studiosi di economia dei trasporti.

Dal
punto di vista economico è fallita e tramontata la politica dei grandi poli
industriali ed infrastrutturali, di cui il ponte sarebbe l’ultimo enorme colpo
di coda: basta osservarne le macerie, da Priolo e Gela, da Milazzo a Termini
Imerese. Oggi lo sviluppo della Sicilia può venire solo dalla valorizzazione
sostenibile delle sue risorse territoriali e paesaggistiche, se fruite in
maniera equilibrata e intelligente, piuttosto che essere degradate e distrutte
da consumo intensivo e sfrenato. Peraltro se la continuità fisico- spaziale fosse
elemento così strategico e strutturale per lo sviluppo, non si capirebbe perché
la Calabria, pure saldamente attaccata al continente, continui a presentare,
purtroppo, gli indicatori socioeconomici peggiori d’Italia

Dal
punto di vista occupazionale, basta leggere bene lo stesso progetto (che, al di
là dei quasi quattrocento milioni di euro fin qui spesi, resta sostanzialmente
sempre lo stesso schema di massima): lì si ammette che, con il ponte, almeno
metà degli addetti ai traghettamenti pubblici e privati diverrebbero esuberi
(saldo negativo di circa milleduecento unità). Ed anche durante i cantieri –
che in ogni caso significano mano d’opera temporanea che poi torna disoccupata
– le cifre sono assai più ridotte, diverse da quelle agitate dalla propaganda,
se lette bene.

Dal
punto di vista urbanistico, ambientale e paesaggistico l’operazione sarebbe un
disastro: basta confrontare il progetto con le Linee Guida del Piano
Territoriale Paesistico Regionale e con gli strumenti urbanistici dei Comuni
interessati ( si veda il rapporto dell’Ufficio tecnico del comune di Messina,
preoccupatissimo per gli impedimenti che le attrezzature del Ponte avrebbero
comportato rispetto a funzioni essenziali per la città). Laddove le città dello
Stretto hanno bisogno di bloccare e riqualificare l’insediamento con operazioni
“a grana fine” di ristrutturazione, ecofunzionale e tipomorfologica, si propone
una megastruttura concepita per un’idea obsoleta di area dello Stretto che
doveva puntare su grandi attrezzature e sui megapoli industriali di Milazzo,
Gioia Tauro e Saline Jonica, mai realizzati. A fronte della riqualificazione
sostenibile, l’attraversamento stabile rischia di produrre inaccettabili
scenari di megalopoli da quarto mondo.

I
gravissimi problemi ambientali che la struttura comporterebbe, soprattutto su
Ganzirri e Costa Viola, in un’area quasi totalmente tutelata, non sono neppure
affrontati nel progetto: la commissione VIA del Ministero dell’Ambiente del
precedente governo è sotto inchiesta per “falso ideologico” dalla procura di
Roma, per avere – sotto le pressioni dell’allora ministro delle infrastrutture
e dei vertici dell’esecutivo – emesso parere, pure con moltissime prescrizioni,
stralciando dai documenti ufficiali le osservazioni relative agli impatti più
critici e irreversibili del progetto (In pratica, ministeri e CIPE hanno
cancellato gli aspetti che erano di difficile e impossibile risoluzione, nonostante
si trovassero di fronte a documenti ufficialmente e formalmente allegati alla
procedura). Questo riguardava anche gli enormi problemi sismologici, che
sembrano accentuarsi con l’avanzare di ricerche ed esperienza.

Per
quanto riguarda il paesaggio c’è ormai una letteratura di insigni paesaggisti
preoccupati della sfigurazione di una delle più grandi opere d’arte naturali
della Terra: lo Stretto. Che con la paratia trasversale di oltre 1200 metri
quadri (costituita dal sistema pilastri-reticolare) perderebbe l’unità
scenografica, trasformandosi in una baia, gravata da coppie di “Torri Gemelle”,
molto più alte delle massime alture esistenti in zona e da coacervi di svincoli
e rampe.

Anche
come simbolo, il progetto è vecchio: non a caso viene paragonato alla torre
Eiffel (fine diciannovesimo secolo), al Golden Gate (inaugurato nel 1938 agli
albori della civiltà dell’auto, mezzo da cui, quasi un secolo dopo, dobbiamo
tendere a liberarci). Sono icone di una modernità passata. Oggi sviluppo
sostenibile significa high tech e valorizzazione delle risorse ecologiche,
proprio quelle che il Ponte negherebbe nello Stretto.

Negli
studi da cui sono tratte le considerazioni sintetiche precedenti, si sono
analizzati gli aspetti riguardanti impatti e pianificazione, economica,
trasportistica, territoriale, ambientale, paesaggistica. Di recente un gruppo
di tecnici, accademici – di  cui diversi,
già componenti del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici – si sono soffermati
sugli aspetti della costruibilità. Il rapporto finale ha rappresentato l’
ennesima bocciatura del progetto. “Esistono nel progetto di massima una
trentina di parametri scoperti (compresi quelli sismologici), di cui almeno la
metà insormontabili. Per cui eventuali ulteriori risorse impiegate in
progettazione definitiva ed esecutiva appaiono illeggittime”. Tra l’altro gli
studiosi di evoluzione delle tecnologie dei materiali impiegabili stimano in
centoventicinque anni, ad essere ottimisti, l’orizzonte temporale per cui tutte
le strutture finora previste possano essere effettivamente pronte per
l’utilizzo. Ricordando che, ad oggi, la più lunga campata bifunzionale (gomma e
ferrovia) esistente è di 550 metri e che anche l’Akashi in Giappone, nonostante
l’enorme impegno tecnico, finanziario ed economico, alla fine è stato costruito
come ponte monofunzionale viario.” Nel caso dello Stretto, peraltro, si
tratterebbe di assicurare una campata quasi doppia”.

Questi
sono i veri termini della questione: ignorarli significa agire per motivi
estranei ad una corretta programmazione politica.

  1. #1 di Nunez21GAYLE il 2 Novembre 2010 - 16:38

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