La lettera di uno sfortunato tifoso del Brescia


Inoltriamo da infoaut.

Una lettere inviata al Ministro Maroni, riguardante l’ingiustizia subita da un tifoso ad opera dei "tutori dell’ordine" e l’impossibilità di ottenere giustizia, il tentativo di soffocare la notizia dell’accaduto, una routine consolidata come il caso di Marcello Lonzi, Federico Aldrovandi, Francesco Mastrogiovanni, persone, esseri umani morti sotto le mani di altre persone, con l’unica differenza di indossare una divisa, ma come dice Ascanio Celestini:"la divisa non si processa"

Collettivo Unirc


Ero un allevatore di tori. Ero un ragazzo normale, con amicizie, una
ragazza, passioni, sani valori. Ero soprattutto un grande tifoso del
Brescia. Una persona normale, come tante, direbbe Lei…. Poi a
Verona sono stato travolto da una carica di “alleggerimento” del
reparto celere…

Ill.mo Ministro degli Interni

p.c. Presidente della Repubblica
p.c. Presidente del Consiglio
p.c. Ministro di Giustizia
p.c. Sindaco di Brescia
p.c. Prefetto di Brescia
p.c. Questore di Brescia
p.c. Sindaco di Verona
p.c. giornali e tv


scrivo questa lettera alla vigilia dell’anniversario
di una data che mi ha cambiato la vita: il 24 settembre del 2005.
Mi presento: sono Paolo Scaroni, abito a Castenedolo, piccolo paese della provincia di Brescia.
Ero un allevatore di tori.
Ero un ragazzo normale, con amicizie, una ragazza, passioni, sani
valori -anche sportivi- e la giusta curiosità. Facevo infatti molto
sport e viaggiavo quando potevo.
Ero soprattutto un grande tifoso del Brescia.
Una persona normale, come tante, direbbe Lei.

Oggi non lo sono più (per la verità tifoso del Brescia lo sono
rimasto, sebbene non possa più vivere la partita allo stadio com’ero
solito fare: cantando, saltando, godendo oppure soffrendo).

Tutto è cambiato il 24 settembre del 2005, nella stazione di Porta Nuova a Verona.
Quel giorno, alla pari di migliaia di tifosi bresciani -fra i quali
molte famiglie e bambini- avevo deciso di seguire la Leonessa a Verona
con le migliori intenzioni, per quella che si preannunciava una sfida
decisiva per il nostro campionato di serie B. Finita la partita, siamo
stati scortati in stazione dalla polizia senza nessun intoppo o
tensione. Dopo essermi recato al bar sottostante la stazione, stavo
tornando con molta serenità al treno riservato a noi tifosi portando
dell’acqua al resto della compagnia (era stata una giornata molto calda
ed eravamo quasi tutti disidratati). Tutti gli altri tifosi erano già
pronti sui vagoni per fare velocemente ritorno a Brescia. Mancavano
pochi minuti ed i binari della stazione erano completamente deserti.
Cosa alquanto strana visto il periodo, l’orario e soprattutto la città
in cui eravamo, centro nevralgico per il passaggio dei treni.

Improvvisamente, senza alcun preavviso o motivo apparente, sono stato
travolto da una carica di “alleggerimento” del reparto celere in
servizio quel giorno per mantenere l’ordine pubblico e picchiato a
sangue, senza avere nemmeno la possibilità di ripararmi. Sottratto al
pestaggio dagli amici (colpiti loro stessi dalla furia delle
manganellate), sono entrato in coma nel giro di pochissimo e quasi
morto.
Dopo circa venti minuti dall’aver perso conoscenza sono stato caricato
su un’ambulanza -osteggiata, più o meno velatamente, dallo stesso
reparto che mi aveva aggredito- e trasportato all’ospedale di Borgo
Trento a Verona. Lì sono stato operato d’urgenza. Lì sono stato
salvato. Lì sono tornato dal coma dopo molte settimane. Lì ho passato
alcuni mesi della mia nuova vita. Una vita d’inferno.
Nel frattempo la mia famiglia, in uno stato d’animo che fatico ad
immaginare, subiva pressioni e minacce affinché la mia vicenda
mantenesse un basso profilo.
Ai miei amici non andava certo meglio, nonostante tutti gli sforzi per far uscire la verità.
Ovviamente, alcune cose di cui sopra le ho sapute molto tempo dopo la
mia aggressione. Il resto l’ho scoperto grazie al lavoro del mio
avvocato.

Dalla ricostruzione dei fatti e tramite le tante testimonianze, emerge
un quadro inquietante, quasi da non credere; ma proprio per questo da
rendere pubblico.
In seguito alle gravissime lesioni subite, presso la Procura della
Repubblica di Verona è iniziato un procedimento a carico di alcuni
poliziotti e funzionari identificati quali autori delle lesioni da me
subite. Nonostante il Giudice per le Indagini Preliminari abbia
respinto due volte la richiesta d’archiviazione, il Pubblico Ministero
non ha ancora esercitato l’azione penale contro gli indagati.
Mi domando per quale ragione ciò avvenga e perché mi sia negata giustizia.

Oggi, dopo avere perso quasi tutto, rimango perciò nell’attesa di un
processo, nemmeno tanto scontato, considerati i precedenti ed i
tentativi di screditarmi. Oltretutto i poliziotti erano tutti a volto
coperto, quindi non identificabili (com’è possibile tutto questo?),
sebbene a comandarli ci fosse una persona riconoscibilissima.
Dopo le tante bugie e cattiverie uscite in modo strumentale sul mio
conto a seguito della vicenda, aspetto soprattutto che mi venga
restituita la dignità.
Ill.mo Ministro degli Interni, sebbene la mia vicenda non abbia destato
lo stesso scalpore, ricorda un po’ le tragedie di Gabriele Sandri, di
Carlo Giuliani, ed in particolare di Federico Aldrovandi (accaduta a
poche ore di distanza dalla mia), con una piccola, grande differenza:
io la mia storia la posso ancora raccontare, nonostante tutto.

Le dinamiche delle vicende sopra citate forse non saranno identiche, ma
la volontà di uccidere sì, è stata la medesima. Altrimenti non si
spiega l’accanimento di queste persone nei miei confronti, soprattutto
se si considera che non vi era una reale situazione di pericolo: era
tutto tranquillo; ero caduto a terra; ero completamente inerme. Ma le
manganellate, come descrive il referto medico, non si sono più fermate.

Forse, ho pensato, oltre alla vita volevano togliermi anche l’anima.
Per farla breve, in pochi secondi ho perso quasi tutto quello per cui
avevo vissuto -per questo mi sento ogni giorno più vicino a Federico- e
senza un motivo apparente. Sempre ovviamente che esista una
giustificazione per scatenare tanta crudeltà ed efficienza.

Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante
la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia
non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con
certezza: l’unica cosa funzionante come prima nel mio corpo infatti è
il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non ho ancora
stabilito se questa sia stata una fortuna.
Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel
mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni.
Ho perso la ragazza.
Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano
itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a
causa delle mie condizioni fisiche), nonostante mi spinga ancora molto
lontano.
Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al
Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza.
Quella sicurezza che Lei invoca ogni giorno, e tenta d’imporre sommando
nuove leggi e nuove norme a quelle già esistenti (fino a ieri molto
efficaci, almeno per l’opinione pubblica).

Peccato però che queste leggi non abbiano saputo difendere me,
Federico, Carlo e Gabriele dagli eccessi di coloro che rappresentavano,
in quel momento, le istituzioni.
Ill.mo Ministro degli Interni, alcune cose mi martellano più di tutto:
ogni giorno mi domando infatti cosa possa spingere degli uomini a
tanto. Non ho la risposta.
Ogni giorno mi domando se qualcuna di queste tragedie potesse essere evitata. La risposta è sempre quella: sì.
A mio modesto parere, ciò che ha permesso a queste persone di liberare
la parte peggiore di sé è stata la sicurezza di farla franca.
Sembra un paradosso, ma in un Paese come il nostro in cui si parla
tanto di “certezza della pena”, di “responsabilità” e di “omertà”,
proprio coloro che dovrebbero dare l’esempio agiscono impuniti
infrangendo ogni legge scritta e non, disonorano razionalmente la
divisa e l’istituzione rappresentata, difendono chi fra loro sbaglia
impunemente.

Ill.mo Ministro degli Interni, dopo tante elucubrazioni, sono giunto ad
una conclusione: se queste persone fossero state immediatamente
riconoscibili, responsabili perciò delle loro azioni, non si sarebbero
comportate in quella maniera ed io non avrei perso tanto.
Le chiedo quindi: com’è possibile che in Italia i poliziotti non
portino un segno di riconoscimento immediato come accade nella maggior
parte delle Nazioni europee?
Ill.mo Ministro degli Interni, io non cerco vendetta, semmai Giustizia.
Mi appello a Lei ed a tutte le persone di buon senso affinché questi
uomini vengano fermati ed impossibilitati nello svolgere ancora il loro
“dovere”.
Chiedo quindi che si faccia il processo e nulla sia insabbiato.

Cordiali saluti.

Paolo Scaroni, vittima di uno Stato distratto

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