POLVERE SU POLVERE


 

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Non ci interessa riproporre concetti usciti dalle penne di scribacchini prezzolati, o da mezzibusti impomatati, ma ci sembra comunque doverosa una riflessione su quanto accaduto in Abruzzo. Un terremoto ha messo allo scoperto i misfatti di
un’imprenditoria edile senza scrupoli, ma tutto ciò non è che l’ultimo
cristallo di ghiaccio sulla punta di un immenso iceberg. Gli attori sono
molteplici si va dal colosso del cemento, fino alla più piccola ditta edile,
spesso il gigante e la formica sono collegati da una cascata di appalti e
subappalti, dove si gioca sempre al ribasso dove si taglia in primis sulla
sicurezza degli operai, e poi si arriva a fare ritocchi sulla qualità dei
materiali. Se valutiamo l’ammontare delle vittime dei crolli, che è
impressionante, dovremo ricordarci di aggiungere anche le vite dei vari
lavoratori, più o meno regolari, più o meno assunti, ma comunque morti. Cominciando
ad estendere lo sguardo oltre lo schermo televisivo, o di là della pagina del
giornale, e guardiando magari fuori della finestra, potremo arrivare ad
accorgerci della follia che è venuta a galla -ma si fa sempre per dire dal
momento che ora spuntano perizie e denunce che negli anni si sono susseguite
senza risultato- milioni di metri cubi di calcestruzzo venuti su spesso in maniera
“spontanea”, in barba a tutte le regole del buon costruire, affidando la
realizzazione spesso ad operai sottopagati, assunti in nero, assunti a
giornata, o addirittura inesperti. Le polemiche su crepe, crolli e macerie dovrebbero
servire da stimolo per un’analisi attenta del costruito, su tutto il territorio
nazionale, invece il nostro governo viaggia allegramente in controtendenza, con
il piano casa.
Sarebbe chiaro anche ad un non addetto ai lavori che, se su
di una palazzina, magari condonata -quindi costruita abusivamente senza criterio alcuno-  si vanno ad
aggiungere carichi derivanti da quel famoso 20% di ampliamento che il piano
prevede, di fatto, si agirebbe su strutture costruite male, forse vecchie e
senza manutenzione, giacenti su suolo sismico, insomma s’innesca una bomba
pronta ad esplodere al minimo scossone. Sembra che l’italiano medio dimentichi facilmente i vari
crolli succedutisi per cause ignote da Aosta a Palermo, palazzine che si
sbriciolano, case che cavalcano frane, scuole che crollano, soffitti che si
staccano, travi che si spezzano. Non è opera del maligno, non sono eventi
sovrannaturali, è l’opera più genuina della speculazione edile e del malaffare
che con essa va a braccetto. A nostro avviso al di là della gara di solidarietà
per la popolazione, si dovrebbe fare qualcosa per evitare di facilitare il
compito al terremoto di far vittime, porre dei freni alla colata di cemento che,
tra piano casa e il piano per le grandi opere, rischia di investire in pieno il
paese. Se il mattone muoveva l’economia generale del paese nella ricostruzione
degli anni 50’ ora, il cemento muove interessi a 360°, con il cemento si fa di
tutto, nel cemento si nasconde di tutto, col cemento si copre di tutto.
Strangolati dall’interesse congiunto di imprenditoria politica e malaffare,
siamo un paese pieno zeppo di cattedrali del deserto, cantieri decennali e
opere incompiute o peggio inutili, il tutto coperto dalla falsa prospettiva del
rilancio economico, che continua a riproporsi imperterrita a distogliere l’attenzione
su altri e più profondi problemi, all’ombra del ponte sullo stretto si
nascondono dissesti sociali da romanzo post-umano, tra i nastri d’asfalto della
nuova A3 si annidano speculazioni territoriali, spartizioni d’appalti e
prosciugamento di falde acquifere, dai tunnel della TAV escono i soprusi, i
compromessi, e l’esasperazione della gente, che si ramificano come le crepe lasciate
dal
   passaggio degli eurostar sugli edifici della
periferia romana. Un terremoto mette a nudo la precarietà della vita umana,
ma può anche denudare le vergogne di un paese che continua ad andare avanti in
un vicolo cieco e spronato dall’allucinazione di un progresso a crescita infinita.

Collettivo UniRC

 

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