Lettera a Napolitano: «La verità è che restiamo senza case»


 Pubblichiamo una letteraaperta al presidente Napolitano, apparsa sul sito www.100x100aq.org dando così seguito alla divulgazione di quella che è la realtà dei fatti, e di come il governo stia agendo in quei luoghi dove l’emergenza crea una zona franca dove tutto è consentito, dove i diritti vengono smussati, dove gli affari legati al mercato edilizio fioriscono nelle mani dei soliti noti, dove la libertà di riunirsi e di diffondere notizie viene sistematicamente ignotrata. Pertanto l’invito è di diffondere il più possibile queste informazioni

Collettivo UniRC

 

Caro Presidente,

le cronache sulla sua visita di ieri nella
nostra città, a cinque mesi dal terremoto del 6 aprile, parlano del
calore con cui gli aquilani l’hanno accolta e riferiscono del conforto
da lei espresso nel vedere, dopo tutto quello che è successo, “fiducia
e gente sorridente” che “crede molto nelle istituzioni”. Altro, a parte
le note di colore, non è stato riportato. Sappiamo che ha parlato con i
responsabili della Protezione Civile, con i rappresentanti locali. Ha
avuto modo di chiedere, di vedere e di informarsi. Ma non ha aggiunto
altro.

E’ vero caro Presidente.
Noi, anche quelli che non erano lì a stringerle la mano o ad ascoltare
l’inno di Mameli, crediamo molto nelle istituzioni. Anzi moltissimo.
Perché per noi le istituzioni rappresentano la possibilità di
affrontare insieme i problemi di una comunità per risolverli insieme.
Quindi dato che di problemi, dal 6 aprile, ne abbiamo un po’ più del
normale, nelle istituzioni crediamo molto, anche perché ne abbiamo
molto bisogno. Questo lei lo sa, lo ha visto. Ha visto la distruzione
immensa. Sa, come tutti noi, che da un evento del genere non ci si
riprende se non attraverso sforzi collettivi eccezionali e soprattutto
attraverso le scelte giuste. Altrimenti, semplicemente, le città e i
paesi muoiono.

Ha visto, caro Presidente, il sorriso riaffiorare su qualche volto degli abitanti di Onna.
Perché dopo i troppi lutti e la sofferenza di cinque mesi di tenda,
potranno avere un tetto nel piccolo villaggio di case di legno che
sorge accanto al paese distrutto. Ha potuto capire, caro Presidente,
che la speranza è nel poter riallacciare i fili spezzati con le persone
e i luoghi. E’ poter restare insieme e restare lì. Vicino alla tua casa
rotta, o mezza rotta, smozzicata, scoperchiata, ma che è la tua casa.
La speranza è di ricostruire la casa, la scuola, le strade e le piazze
e di ritrovarsi insieme.

Ma sulla strada che dall’Aquila conduce ad Onna, caro Presidente,
avrà visto anche il cantiere di Bazzano, dove si costruisce il più
grande dei 19 nuovi insediamenti destinati ad ospitare chi ha perso la
casa. E’ il Piano C.A.S.E. (Comitati Antisismici Sostenibili
Ecompatibili), voluto dalla istituzione Protezione Civile, previsto da
un decreto legge dell’istituzione Governo, convertito in legge
dall’istituzione Parlamento, approvato con il sostegno convinto
dell’istituzione Regione Abruzzo e con l’avvallo delle istituzioni
Provincia e Comune dell’Aquila. E questa è tutta un’altra storia. Ed è,
purtroppo, quella vera che nulla ha a che vedere con la vicenda di
Onna, è il suo contrario.

Il Piano era già pronto, ambizioso e innovativo: per
la prima volta gli sfollati non sarebbero stati ridotti in roulotte o
container ma, dopo qualche tempo in tenda, avrebbero avuto direttamente
case vere, antisismiche, ecologiche e con tutti i comfort. Circa 5.000
abitazioni per circa 15.000 persone, che vi avrebbero abitato il tempo
necessario a ricostruire la propria casa.

Così 30 mila persone sono state tenute in tenda per cinque mesi e altrettante,
lontane negli alberghi della costa abruzzese, perché tutti, in autunno,
avrebbero potuto avere un tetto: chi riparando i danni lievi della
propria abitazione, chi trovando posto nelle nuove C.A.S.E.. Ma, caro
Presidente, non è andata così. Non gliel’hanno detto?

Le tende hanno cominciato a toglierle davvero,
solo che le case danneggiate non sono state riparate e le C.A.S.E.,
quando saranno tutte consegnate (dicembre? febbraio? aprile?), non
basteranno. Per cui le persone dalle tende vengono trasportate in
caserma o in albergo – la destinazione viene comunicata poco prima in
modo da ridurre il rischio di rimostranze. Gli alberghi dell’aquilano
sono pieni e quindi decine di migliaia di persone dovranno essere
piazzate in altri territori e province. Chi ha la fortuna di avere
ancora lavoro a L’Aquila o ha un figlio da mandare a scuola, potrà
viaggiare con mezzi propri o autobus navetta, questi – pare – messi a
disposizione dalle istituzioni. Gli altri staranno lì in attesa degli
eventi.

Questa è la storia di una devastazione annunciata, caro Presidente. Lo
smembramento delle comunità, praticato all’indomani del terremoto,
viene proseguito dopo cinque mesi e perpetuato in quelli a venire.
Perché non si è saputo e non si è voluto dare priorità alla
ricostruzione ma alla costruzione del nuovo. E poi l’antico adagio
resta valido: divide et impera. Se vuoi comandare sulle persone,
tienile separate. Nei campi tenda, dove le persone per forza stanno
insieme, è vietato distribuire volantini, è vietato riunirsi e
discutere liberamente. I diritti e le libertà costituzionali, caro
Presidente.

Con tutte le nostre forze, da subito, abbiamo chiesto alle istituzioni
che venissero risparmiate sofferenze, denaro pubblico e le bellezze del
territorio, ricorrendo a case di legno, prefabbricati e simili.
Soluzioni rapide (4 settimane per averle pronte), economiche (un terzo
di una C.A.S.A.), dignitose, sicure, che permettono di restare vicini
nel proprio territorio da ricostruire e che possono essere rimosse
quando non serviranno più. Ma non c’è stato nulla da fare. Le
istituzioni non hanno voluto ascoltare.
Bisogna costruire le nuove
C.A.S.E. 24 ore al giorno, spendendo tutti i soldi che ci sono davvero
– oltre 700 mil. di euro – e usando pure quelli donati dagli italiani.
Tirando su, in tutta fretta, insediamenti che saranno definitivi, dove
capita, senza logica urbanistica, senza minimamente rispettare criteri
di prossimità ai nuclei precedenti. Intanto, tutto il resto, con
l’inverno alle porte, è fermo. Il riparabile non viene riparato, il
centro storico resta immerso in un silenzio spettrale. Perché?

Che farebbe lei caro Presidente, se a cinque mesi dal terremoto non
sapesse dove trovare una sistemazione per la sua famiglia, una scuola
per i suoi figli, un lavoro che ha perso? Se non avesse la minima idea
di come e quando potrà riparare la sua casa, ammesso che ne abbia
ancora una? Molti, troppi, non hanno potuto fare altro che andare via.
Accettare che, almeno per un po’, a L’Aquila non è possibile tornare.
Ma se non ora, dopo cinque mesi, quando? Lo spopolamento in atto,
diventerà progressivo e definitivo se qualcosa di importante non
cambierà e subito.
Tutto questo l’abbiamo denunciato, chiesto,
urlato, ogni volta che abbiamo potuto e come abbiamo potuto. Di tutto
questo nessuno le ha detto nulla? Perché nemmeno una perplessità, un
dubbio nelle sue parole di ieri sulle scelte fatte?

Caro Presidente, ha ragione, noi ci crediamo davvero nelle istituzioni.
Eppure si sbaglia, caro Presidente, perché di fiducia non ce n’è più.
La supponenza, l’arroganza, l’ignoranza, la complicità, gli interessi
inconfessabili, l’incapacità e l’inettitudine logorano la fiducia nelle
istituzioni. Come pure il silenzio.

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